Torino. Tre fronti antimilitaristi alla cerimonia del 4 novembre
4 novembre. Antimilitaristi salgono sulla cancellata di Palazzo Reale, aprendo lo striscione “no a tutti gli eserciti!” durante la cerimonia dell’ammaina bandiera. In contemporanea entrano in piazza due gruppi di antimilitaristi, provenienti da via Garibaldi e via Micca.
Di seguito una breve cronaca.
Piazza Castello, ore 18. Tutto è pronto per il rituale militarista e patriottardo del 4 novembre. I burattini in divisa sono in fila, la piazza è transennata, quelli della digos sono all’erta per fermare gli antimilitaristi.
Quest’anno l’attacco arriva da tre fronti, prendendo alla sprovvista i tutori del disordine pubblico.
Da piazza Arbarello parte un plotone – invero piuttosto variopinto e disordinato – aperto da uno striscione con la scritta “Disertare la guerra!”. Slogan “fuori la guerra dalla storia, fuori l’Italia dall’Afganistan”, “4 novembre, festa degli assassini”. Prima di affacciarsi in piazza Castello, il plotone antimilitarista si ferma più volte per brevi interventi. Poco prima della piazza vengono intercettati dalla digos, si schiera l’antisommossa. La digos intima di non usare il megafono per non disturbare la cerimonia: naturalmente gli antimilitaristi disobbediscono.
Quasi subito i digos corrono via perché in centro alla piazza si è aperto il secondo fronte.
Una squadra d’assalto si è arrampicata sulla cancellata che chiude palazzo reale aprendo lo striscione “No a tutti gli eserciti” proprio di fronte ai fantocci sull’attenti che cantano l’inno.
Intanto, da via Micca, fa il suo ingresso la Clown Army: mimetica, nasi rossi, parrucche colorate e scolapaste d’ordinanza ben calcati in testa. Incedono marziali e tentano di arruolare i passanti.
Il plotone fermo in via Garibaldi finge la ritirata, e si ripresenta sotto i portici di via Micca, dove si congiunge con la Clown Army. Un veloce slalom per dribblare la polizia e tutti in piazza.
I ragazzi sulla cancellata scendono svelti e raggiungono gli altri.
La Clown Army mette in scena l’ammainatovaglia – un bel quadrettato bianco e rosso. Poi via in parata giù da via Garibaldi.
I fantaccini tricolori, mogi mogi, se ne vanno. Quest’anno, a parte i tre plotoni antimilitaristi, c’era ben poca gente alla loro celebrazione.
Nonostante i fiumi di retorica, nonostante la martellante propaganda di guerra, non tutti sono disponibili a fare “festa”, nel giorno in cui si celebra quell’immane massacro che fu la prima guerra mondiale.
In mattinata il presidente della Repubblica, l’azzimato Napolitano, aveva dichiarato con parole altisonanti che “Le dolorossime perdite di giovani vite che abbiamo dovuto sopportare ci inducono non a desistere ma persistere nel nostro impegno, a moltiplicare i nostri sforzi per onorare quei ragazzi e dare il significato più alto al loro sacrificio raccogliendone i frutti”.
Nulla è cambiato in oltre un secolo: lo Stato celebra come eroi assassini in divisa, mercenari ben pagati che in Afganistan ammazzano, torturano, devastano. E lo chiamano “peace keepinng”, missione umanitaria, soccorso alle popolazioni. Al ministro della guerra, La Russa, non bastano mortai, cingolati, ed elicotteri da combattimento, adesso vuole anche i bombardieri.
Per i centocinquant’anni dello Stato italiano vogliono tricolori ovunque: vogliono fare parate militari per un anno intero. Tante belle parole, tante cerimonie impettite, non bastano a coprire il lezzo di macelleria, che accompagna tutti gli eserciti. Ovunque.
Sulla loro strada troveranno sempre – irridenti e fermi – gli antimilitaristi.
Nostra patria è il mondo intero!
Prossimi appuntamenti:
Sabato 6 novembre
dalle 10 punto info antimilitarista
al Balon – via Andreis angolo via Borgodora
Di seguito uno dei volantini distribuiti:
Via gli alpini da Torino, via i militari dall’Afganistan!
No a tutti gli eserciti!
L’Italia è in guerra. Lo chiamano “peace keeping” ma è guerra. Là, in Afganistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini, donne e bambini. Ma che importa? Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
I dossier americani diffusi in questi giorni da Wikileaks dimostrano quello che già sapevano: i militari italiani in Afganistan combattono tutti i giorni, senza troppi riguardi per i la popolazione inerme.
Il ministro della guerra il (post) fascista La Russa vuole impiegare anche i bombardieri, come il democratico D’Alema in Serbia. Pochi sanno che da alcuni anni l’esercito italiano in Afganistan usa gli elicotteri d’attacco Agusta. Giocattoli mortali, capaci in pochi minuti di annegare nel fuoco un intero villaggio.
Dell’Afganistan si parla solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po’ di retorica su interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una bella pensione a coniuge e figli.
A Torino da ben due anni l’esercito pattuglia le strade. La chiamano sicurezza ma ha il sapore agre di un’occupazione militare. Il confine tra guerra “interna” e guerra “esterna” è ormai caduto. Nel mirino sono i poveri, gli immigrati, i rom, i senza casa, chi si ribella alla devastazione del territorio ed al saccheggio delle risorse. In ogni angolo della penisola si militarizza il territorio e si trattano i cittadini in rivolta come delinquenti. Dalle popolazioni campane in lotta contro le discariche, ai chi, qui da noi, lotta contro il Tav. È la guerra. La guerra interna. Serve anche questa a mantenere la pace, la pace sociale.
I protagonisti sono i medesimi della Somalia, dell’Iraq e dell’Afganistan.
Sono i reduci dalla battaglia dei ponti di Nassirya, dove un’ambulanza con una partoriente venne crivellata di colpi, sono i reduci dell’Afganistan, dove sono normali le irruzioni nelle case e le uccisioni dei civili, sempre tutti terroristi, bambini compresi. Sono quelli della Somalia con le torture fotografate per diletto e vanteria. Sono assassini di professione.
La propaganda della paura, che ci vorrebbe nemici dei più poveri, degli ultimi arrivati costruisce il consenso intorno alla barbarie bellica. Stiamo sempre peggio, tra lavori precari e in nero, senza tutele e senza sicurezza, ma ci convinciamo che i nemici siano quelli che stanno peggio di noi, non i padroni che ogni giorno lucrano sulla nostra vita. Bisogna rompere la propaganda di guerra, costruendo ponti solidali tra gli oppressi e gli sfruttati. Un lavoro quotidiano, difficile, concreto.
I militari nelle città costano a noi tutti 62 milioni di euro l’anno.
La spesa militare aumenta ogni anno. I tagli nei servizi hanno finanziato l’acquisto di nuove armi. Con i soldi di uno solo dei cento cacciabombardieri F35 acquistati dal governo si pagherebbero tante cose utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall’altra parte del mondo. Anche il bilancio della difesa è in costante aumento. Negli ultimi quattro anni soldati in strada, missioni all’estero, finanziamento per nuovi sistemi d’arma hanno assorbito una montagna di soldi. Li abbiamo pagati tutti noi di tasca nostra. L’Italia ha il record del costo più alto per i cittadini, ben 689 dollari a testa. La spesa militare complessiva si aggira intorno ai 24 miliardi di euro. Cifre da capogiro.
Provate a immaginare… cosa si potrebbe fare con quei 689 dollari. Immaginate la scuola dei vostri figli, l’assistenza per gli anziani, i treni dei pendolari…
Non basta dire no alla guerra, perché opporsi alla guerra senza opporsi al militarismo, senza opporsi all’esistenza stessa degli eserciti, vere organizzazioni criminali legali, è mera testimonianza.
Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che non possiamo eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi. A partire dalle piazze dove si ergono monumenti che ritraggono come “eroi” i macellai di tutte le guerre: simboli di quell’aberrazione indecente chiamata militarismo, simboli da cancellare.
Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – riunioni ogni giovedì dalle 21 – fai_to@inrete.it – 338 6594361
Cast – riunioni ogni martedì alle 17 in corso Palermo 46 – cast@autistici.org